giovedì 29 dicembre 2016

Sociologia e Sociosofia

di Daniele Iannotti (fratelli.iannotti@alice.it)

Francesco Giacomantonio, Sociologia e Sociosofia. Dinamiche della riflessione sociale contemporanea, Asterios, Trieste 2012

La preoccupazione dalla quale l'autore del testo prende le mosse consiste nel constatare l'attuale statuto problematico della disciplina sociologica; nell'introduzione del volume, infatti,  F. Giacomantonio ci ricorda il fatto che il peculiare oggetto di analisi di questa scienza, il collegamento con gli studi gemmatisi dalla filosofia ed il suo legame genetico e categoriale con quest'ultima, conferiscono alla riflessione sociologica la necessità costante di rivendicare una propria forma di autonomia. Il punto fondamentale si sposta perciò dall'oggetto di indagine al metodo in quanto «La sociologia è [...], la scienza segnata (consegnata al? Rassegnata al?) politeismo teoretico: in essa convivono e si confrontano continuamente paradigmi funzionalisti, strutturalisti e post-strutturalisti, marxisti», (p. 17) ecc. La questione, perciò, come ci rammenta l'autore, è la ricerca della piattaforma di senso sulla quale riflette la sociologia (cfr. p. 18).

venerdì 23 dicembre 2016

Antropologia e politica. Forme di convivenza

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it; IV di 4)

3. Relazionalità tramite diversità

Quello precedentemente descritto è lo scenario storico-filosofico su cui si colloca l’odierno dibattito[1] fra Libertarians e Communitarians, dibattito che contiene un duplice pericolo nel quale ci si imbatte quando si affronta il tema della differenza culturale e identitaria: trascurare la differenza o mitizzarla.
Si può addirittura dire che oggi ci troviamo al cospetto di due vettori che spingono in direzioni contrarie e, apparentemente, inconciliabili ma che, paradossalmente, fungono l’uno da propellente per l’altro, poiché l’incremento di ciascuno di questi due processi sollecita, come risposta, la crescita dell’altro: la forza centripeta dell’omologazione universale e quella centrifuga della differenziazione. In altri termini, un processo omologante di de-territorializzazione versus un fenomeno diversificante di ri-territorializzazione, di ritorno alla comunità, alla piccola patria peculiare nelle sue differenze dalle altre. Anche l’abbattimento dei confini fisici e politici (emblematicamente rappresentato dall’apertura prima e dalla caduta poi del muro di Berlino, rispettivamente nel 1989 e nel 1990) viene assorbito in questa disputa, o come dimostrazione dei processi “deterritorializzanti”, o come stimolo dei fenomeni “riterritorializzanti”[2]. È fondamentale notare come tali dinamiche vengano spesso descritte con la formula dell’aut aut (dello scontro di civiltà a lá Huntington), anziché dell’et et, che ne coglie invece adeguatamente la natura[3]. Questo avviene quando la prospettiva di fondo è quella della (ri)costruzione di un’identità intesa come “monade monolitica”. Questa infatti si è sempre costituita tramite dinamiche di appartenenza, sociale, politica, economica, religiosa, etnica, territoriale, ecc, ma oggi tutte le categorie sotto la cui bandiera ci si affiliava sono erose dalla complessiva crisi dei tempi che abbatte i vecchi punti di riferimento, senza costituirne di nuovi. Non è affatto detto che questo sia un problema, poiché per tal via si è posti di fronte alla possibilità di rielaborare (mai definitivamente) i propri riferimenti e dunque assumere consapevolmente la propria identità; tuttavia, stante la difficoltà di questa operazione, che non è certo agevolata dalle varie istituzioni, ciò a cui si assiste è o la rinuncia al tentativo di definizione di un’identità o il radicalizzarsi di quest’ultima sotto una delle suddette bandiere, rifugiandovisi; quest’ultima operazione sfocia in una logica multiculturale che

finisce per cristallizzarsi in un sistema di differenze «blindate» che, a onta della conclamata «politica della differenza» (politics of difference), si atteggiano come identità in sedicesimo: monadi o autoconsistenze insulari interessate esclusivamente a tracciare confini netti di non-ingerenza. Come infrangere questa rigida clausola di non-ingerenza, che in apparenza estende ma in realtà stravolge l’idea di differenziazione rovesciandola in frammentazione e proliferazione meccanica della logica identitaria?[4].

giovedì 22 dicembre 2016

Antropologia e politica. Forme di convivenza

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it; III di 4)

2. La moderna dimensione politica


Sulla scorta degli studi Jürgen Habermas possiamo osservare come la cosiddetta “opinione pubblica” nasca, nella modernità, nella sfera pubblica borghese che, differentemente da tutte le precedenti impostazioni sociali, affonda le proprie origini nella libera circolazione delle merci e delle notizie. Infatti, così come la libera circolazione di merci e notizie è un processo che non esclude potenzialmente nessuno, allo stesso modo la formazione dell’opinione pubblica in una società (quella borghese) basata su tale processo, non esclude potenzialmente nessuno (diversamente sia dall’Antica Grecia che dal mondo che va dall’Impero romano alla Rivoluzione francese, dove la sfera pubblica è accessibile, rispettivamente, solo ai cittadini maschi liberi e solo agli esponenti di determinati ceti). Tale libera circolazione di merci e notizie pone il peculiare nuovo problema della sua amministrazione, ma, se è da questa circolazione che sorge l’opinione pubblica, allora amministrare tale circolazione significa amministrare l’opinione pubblica stessa. Come organo di tale nuova operazione nasce un’amministrazione stabile, sottoforma di una attività statuale continuativa. Questo è, difatti, il ruolo del potere pubblico borghese, al punto tale che, nella modernità, il termine pubblico diviene sinonimo di statuale. Lo statuale rappresenta quindi il soggetto amministrante la circolazione delle merci e delle informazioni, ma dove tale circolazione è localizzata? In quale dimensione ha luogo? Nella società civile. Ecco perché, solo nella modernità «come pendant dell’autorità si costituisce la società civile […]. Nella trasformazione dell’economia tramandata dall’antichità in economia politica si riflettono i mutati rapporti»[1].
Avviene così quella dinamica (già descritta da Hannah Arendt in Vita activa)[2] in base alla quale un potere pubblico che amministra la società civile (intesa come la sfera dei privati), eleva a questione di pubblico interesse l’amministrazione, e con essa la riproduzione, della vita, portando quindi tale problematica al di là dei limiti della sfera domestica privata:

venerdì 9 dicembre 2016

Antropologia e politica. Forme di convivenza

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it; II di 4)

1. La moderna immagine dell’uomo

Gnothi sauton, conosci te stesso. L’antico precetto delfico-socratico esprime quella forma di conoscenza indispensabile alla cura di sé (epimeleia heauton) la quale, a sua volta, è propedeutica all’esercizio di un pensiero critico e di una prassi etica che permettano agli uomini di prendersi cura di sé e relazionarsi armoniosamente fra di loro. Problematizzare la vita, la vita che siamo, risulta così essere l’imprescindibile punto di partenza per qualsiasi riflessione filosofico-politica, per non correre il rischio di modellare l’abitante sulle esigenze della casa, anziché edificare la casa a misura dell’abitante. La questione dell’humanitas assurge così a problema filosofico che, come emerge dallo scenario disegnato dall’antropologia filosofica moderna, rende evidente come l’uomo non sia una mera somma di animalitas e rationalitas, immaterialità e materialità, ma un complesso nodo di forze diverse[1].