venerdì 29 aprile 2016

I competenti

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Non si può fare politica senza pronunciarsi su questioni che nessun uomo sensato può dire di conoscere. Si deve essere infinitamente stupido o infinitamente ignorante per avere un’opinione sulla maggior parte dei problemi posti dalla politica.
P. Valéry, Des partis

Sono molti i luoghi in cui Galimberti mette in evidenza come, sotto la spinta dell’iperspecializzazione che lo sviluppo della tecnica (mi permetto di specificare, questo sviluppo di questa tecnica) ci richiede, la democrazia sia destinata ad estinguersi per mancanza delle competenze tecniche necessarie per prendere una decisione su uno specifico tema – sicché, le decisioni vengono poi prese con la “pancia” e i politici diventano affabulatori di masse incompetenti (su questo, una scorrevole e affascinante lettura può essere il suo La morte dell’agire e il primato del fare nell’età della tecnica).
Le implicazioni etiche di un simile scenario sono state individuate dalla Arendt nel suo dirompente La banalità del male dove identifica nella specializzazione, e quindi nello specialista (in quel caso, della “soluzione finale”, amministrata come un qualsiasi indifferente atto specialistico: Eichmann), la fine non solo della possibilità di pensare ma anche della facoltà di giudicare, quindi della responsabilità – tema già anticipato nel’44 da Camus (Eichmann in Jerusalem è del ’63), quando nel suo articolo Non tutto si sistema (pubblicato su Lettres françaises, giornale clandestino del Comité national des écrivains, con un certo imbarazzo), imputa al membro del Governo Vichy, Pucheu, un torto che definisce come “mancanza di immaginazione”; tipica, oggi lo si può constatare ancor più di ieri, dello specialista.

lunedì 25 aprile 2016

Pratica filosofica: pulizia dell'anima

di Maria Giovanna Farina (mg.farina@libero.it)

Mostrerò l'endosmosi abusiva dell'assertorio nell'apodittico e della memoria nella ragione, sosteneva il filosofo Gaston Bachelard (1884-1962) nel suo libro La formazione dello spirito scientifico. Ci avvertiva che questo suo volume sarebbe stato utile per comprendere e distinguere ciò che è scientifico da ciò che è frutto di credenze. Il problema è l'endosmosi, cioè la confusione nel senso preciso di con-fondere, fondere insieme in modo abusivo, arbitrario, ciò che è scientifico con ciò che è invece solo frutto della opinione comune. Fu Platone ad insegnarci la differenza tra doxa e episteme nel dialogo della Repubblica dove sottolinea la validità dell'episteme, il sapere che si basa su conoscenze incontrovertibili, oggi diremmo scientifiche; altra cosa è la doxa, l'opinione che si basa sull'apparenza in contrasto con l'aletheia, quella verità ri-cercata dal filosofo. La nota metafora della caverna, conosciuta con il nome di mito della caverna, esprime per bocca di Socrate, con chiarezza lapalissiana come gli uomini incatenati e obbligati a vedere le ombre proiettate sul fondo della caverna scambino queste ultime con la realtà, diventando incapaci quindi di riconoscere la differenza tra apparenza e verità dei concetti universali. In parole povere se sono obbligata ad osservare la superficie delle cose, le ombre, come posso osservare il loro contenuto profondo? Se subisco passivamente tutto ciò che mi propinano per buono, se sono incatenata dai pre-giudizi, come posso riconoscere il buono in sé? Cioè il vero buono, quello che mi fa bene, che mi fa essere una persona migliore?

martedì 5 aprile 2016

Marcuse and Habermas: Perspectives in Critical Theory

Lecture by Federico Sollazzo
The Critical Theory of Society, that address of thought arisen by the so-called School of Frankfurt, seems to be very suited in describing the nowadays social situation. However, notwithstanding the presence of a common ground, in the Critical Theory of Society – and the same is for the School of Frankfurt as Institution – we find different perspectives and thought’s articulations, sometimes very far from each other.
We can find a very interesting divergence in the transition between the so-called first and second phase of the Institute for Social Research of Frankfurt, that corresponds to two different approaches in Critical Theory. These perspectives can be exemplified comparing the work of Herbert Marcuse and that of Jürgen Habermas.
My aim here is to show how this comparison is not a mere academic exercise. Far from it, the aftermaths of such a comparison – that on its core is between a substantive and a formal idea of man – can enlighten our individual and social choices.