giovedì 18 febbraio 2016

Federico Sollazzo, "Tra totalitarismo e democrazia. La funzione pubblica dell’etica"

di Moira De Iaco (moiradeiaco@libero.it)

Il libro di Federico Sollazzo Tra totalitarismo e democrazia. La funzione pubblica dell’etica – arricchito nella nuova edizione digitale della Kkien Publishing International dal testo iniziale “Quando una crisi non è un’opportunità: la coincidenza con ciò che si vorrebbe superare” – risponde a un’istanza fortemente attuale, quella di riflettere sulla forma politica e morale delle democrazie occidentali liberali fondate sulla razionalità strumentale. Assolvere il compito di svelare quello che Sollazzo chiama “totalitarismo post-totalitario” affrontando temi e autori della filosofia morale e politica contemporanea, permette a quest’opera di presentarsi come un’indispensabile strumento per studenti e studiosi intenti a riflettere sulla crisi totalizzante del nostro tempo. La prospettiva, come l’autore si preoccupa di precisare nella premessa, non è quella di auspicare un nostalgico e obsoleto ritorno al passato, bensì quella di indagare “la struttura pratico-operativa e ontologica della società occidentale” (p. 4) in vista del conseguimento di un pacifismo sociale. 

Il lavoro si articola in quattro capitoli preceduti da un saggio iniziale e seguiti da un’importante bibliografia ragionata. L’eterodeterminazione, da intendersi come una forma di autodeterminazione indirizzata e vincolata a forme e modalità prestabilite,  come prodotto del tempo in cui ci troviamo a vivere, è l’oggetto di riflessione dell’articolo introduttivo: l’Essere della nostra epoca, il soggetto impersonale che governa la vita di chi vive in questo tempo, è la razionalità strumentale. Il suo avvento viene efficacemente descritto con la dialettica hegeliana servo-padrone: il capitale, l’Essere, “schiavizza la tecnica per potersi incrementare e moltiplicare con efficienza, il capitale è il padrone, la tecnica il servo” che hegelianamente è diventato il padrone – e dunque l’Essere del nostro tempo – schiavizzando il capitale (p. 6). L’uomo risulta quindi dominato dalla razionalità strumentale che ne determina tanto gli atteggiamenti, i ragionamenti, i bisogni e i desideri orientandoli in modi e forme e prestabilite quanto le relazioni sociali che entro questo quadro sono immodificabili. L’individuo così conformato, non eccedente la razionalità strumentale ma ad essa coincidente, è un esecutore di funzioni economiche e sociali che indossa delle maschere. In una tale società, Sollazzo evidenzia come lo stesso pluralismo politico tanto sbandierato dalle democrazie occidentali sia solo “formale e nominale”, “una lista dicliché”; infatti, misura quantità e non esprime qualità (p. 7). Al soggetto, che corre costantemente il rischio di costruirsi entro l’ordine prestabilito, nessuna differenza gli è garantita, non gli resta che un movimento di sottrazione, chiave d’accesso a un territorio di pura negatività dove soltanto è possibile generare qualcosa di autentico e originale.

lunedì 8 febbraio 2016

Invece che questuare la politica

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Sempre più spesso ci si affida alla politica per la risoluzione di problemi essenziali (addirittura a volte non semplicemente chiedendo ma pretendendo tale risoluzione) – sintomo di uno spaesamento generale che innalza la richiesta di pater familias. Ma una simile richiesta, pretesa, supplica è giustificata? La politica può e/o deve soddisfarla?
Innanzi tutto, per avere almeno una chance di soddisfarla i politici dovrebbero essere degli uomini di cultura e pensiero, cosa oggi sempre più rara, basti notare la pochezza culturale e la piattezza argomentativa di molti di loro.
Ma soprattutto, i politici non possono e non devono soddisfare quella questua di senso, perché la politica – che evidentemente prendo qui in termini istituzionali – è mera amministrazione dell’esistente.

Il pop è morto, viva il pop!

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

“Sarà una sorta di X Factor delle idee”. Così un politico (in questo momento non importa chi, dato che il fenomeno che vorrei ora descrivere è generalizzato e trasversale, essendo un fenomeno storico-sociale, ovvero di civilizzazione) ha di recente definito un evento pubblico che riguardava il suo partito.
Non che sia vietato fare battute per creare un clima leggero e conviviale. Ma il problema è che c’è battuta e battuta, e che i riferimenti a fenomeni della cultura di massa, oggi più che scherzi sono gli unici riferimenti di cui gran parte della popolazione dispone – politici inclusi ovviamente, che più cercano popolarità e più diventano popolari, in tutti i sensi della parola. Infatti, basta provare a chiedere a qualcuno di rendere lo stesso concetto con un riferimento che non sia tratto dalla cultura di massa e il più delle volte questo qualcuno rimarrà senza parole.
Ora, a scanso di equivoci ripeto che non c’è nulla di male nel riferirsi anche a ciò che è pop, ma, appunto, anche, non solo. E aggiungo inoltre che il riferimento al pop non solo non è demoniaco di per sé, ma è anche doveroso per comprendere appieno il tempo in cui ci è dato vivere. Per stare davvero nel mondo, con tutte le sue bellezze e bruttezze. Come disse una volta l’allenatore José Mourinho “chi sa solo di calcio, non sa nulla di calcio”, e il filosofo Elio Matassi con una indovinata sostituzione di termini cambiò la frase in “chi sa solo di filosofia, non sa nulla di filosofia”. Ed ecco un riuscito esempio di come cultura “bassa” e cultura “alta” possano felicemente incrociarsi – d’altra parte esse hanno molto in comune, è tutto quello che c’è nel mezzo che è medio, nel senso di mediocre.