venerdì 7 agosto 2015

Albert Camus e l'Europa

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

La mediocrità dell’Europa di oggi, spiegata da Albert Camus nel 1955.
Lo scrittore analizza un continente «borghese e individualista che pensa al proprio frigorifero». Le frontiere? «Esistono solo per i doganieri».
Albert Camus, traduzione di Andrea Coccia.

(Getty Images)

L'Europa sta vivendo uno dei momenti più complicati della sua storia: muri che si alzano in Ungheria, frontiere che si chiudono tra la Francia e l'Italia, paesi come la Grecia che rischiano di uscire da una comunità che hanno contribuito a creare e di cui sono, storicamente e culturalmente, una parte importante. E ancora, il nascere di movimenti nazionalisti forti e sempre più radicati in seno a quasi tutti i paesi europei, un livello di fiducia tra le popolazioni europee che sembra non essere è mai stato così basso negli ultimi sessant'anni. Tutte forze centrifughe che stanno mettendo in pericolo la costruzione unitaria, politica e culturale, che abbiamo ereditato dal Novecento.
Eppure tutti questi problemi che stiamo affrontando ora non sono una novità. Timori simili esistevano già sessant'anni fa, a pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale, nel 1955. A pochi mesi da quei trattati di Roma del 1957 che hanno posto le basi dell'Europa di oggi. A testimoniare questi timori sono le parole di uno dei più grandi intellettuali del Novecento europeo, lo scrittore francese Albert Camus, che ne discusse ampiamente durante una conferenza ad Atene — bizzarra coincidenza — il 28 aprile del 1955.
Sono passati sessant'anni da quel giorno, ma le parole di Albert Camus [...] non hanno perso potenza né lucidità. Per l'occasione siamo andati a rileggere le sue parole, traducendo i passi più potenti.

Se consideriamo che la civiltà occidentale si basa sull'umanizzazione della natura, ovvero sulla tecnica e sulla scienza, non soltanto dobbiamo convenire sul fatto che l'Europa abbia trionfato, ma anche sul fatto che le forze che oggi la minacciano sono forze che hanno acquisito la tecnica, o l'ambizione alla tecnica, proprio dall'Europa, insieme al suo metodo scientifico e di ragionamento. Da questo punto di vista, quindi, la civiltà europea non è affatto minacciata, se non dall'eventualità di un suicidio, dunque è minacciata da se stessa, in qualche modo.
Se, invece, consideriamo che la nostra civiltà si costruisce intorno alla nozione di essere umano, questo punto di vista ci porta a una risposta completamente opposta. Perché probabilmente, e sottolineo probabilmente, è difficile trovare un'epoca in cui la quantità di persone emarginate sia elevata come oggi. Non direi tuttavia che questa nostra epoca sia particolarmente sdegnosa nei confronti dell'essere umano. Non c'è dubbio infatti che l'azione della coscienza collettiva e, in particolare, della coscienza dei diritti dell'uomo si sia estesa sempre di più negli ultimi secoli. È solo, però, che due guerre mondiali l'hanno un po' calpestata, e che quindi ora io credo che dobbiamo rispondere che sì, che da questo punto di vista la nostra civiltà è minacciata, e lo è nella misura in cui l'essere umano, che eravamo riusciti a mettere al centro della nostra riflessione, ora è umiliato un po' dovunque .