domenica 20 luglio 2014

È il mondo che si introduce in noi

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Quello di Idolo Hoxhvogli, Introduzione al mondo (Scepsi & Mattana, 107 pp.) è un libro che riguarda tutti e ciascuno, essendo un libro sul periodo in cui ci è dato vivere, a proposito del quale l’autore (e chi scrive concorda) non ha dubbi: si tratta di un periodo di decadenza.
L’autore avvisa il lettore che tre delle sue prose sono strettamente legate a tre grandi della letteratura: Franz Kafka, La Legge in città, Paul Eluard, Rovesciando e Walter Benjamin, L’impianto del porco. Certamente quelle prose sono debitrici a quegli autori, anzi, direi che le tracce di tali autori si trovano sparse un po’ in tutto il libro, originando delle “riscritture” (come le chiama Hoxhvogli, rifacendosi a Novalis «Il vero lettore deve essere l’autore ampliato») di sicuro interesse. Tuttavia, gli autori e i testi che personalmente mi sono venuti incontro leggendo Introduzione al mondo sono il Theodor Adorno della Dialettica dell’illuminismo (scritta con Max Horkheimer) e di Minima Moralia e il Pier Paolo Pasolini di Petrolio. Hoxhvogli infatti ricorda la Dialettica dell’illuminismo per la valenza del frammento, non a caso il sottotitolo di quella è Frammenti filosofici. Gli indizi della natura di un’età appaiono infatti sotto forma di frammenti, e le prose che compongono il libro, dell’autore nato Tirana e cresciuto in Italia, sono, appunto, frammenti. Così come solo la sensibilità individuale può coglierli, altrettanto, solo la riflessione individuale può costruire a partire da essi un quadro più ampio. Il collegamento con Minima Moralia deriva invece dal contenuto dell’opera, il sottotitolo di quella recita Meditazioni sulla vita offesa. Proprio quel particolare tipo di offesa che in questo libro caratterizza la decadenza di questa età dell’uomo. La prosa di Hoxhvogli ha uno stile metaforico-allegorico, pur nascendo dall’osservazione della realtà (forse arricchita con qualche riferimento biografico) che vuole restituire. Ne deriva un tentativo di rendere la realtà in termini quasi mitici, senza con ciò allontanarsene ma al contrario penetrandola più in profondità. Questo richiama alla mente quell’insuperata (benché incompiuta) opera di proiezione del mito sulla realtà, la creazione di una sorta di epica contemporanea, che è il Petrolio di Pasolini. 

martedì 1 luglio 2014

J. H. Mackay, "Max Stirner"

di Giacomo Pezzano (giacomo.pezzano@binario5.com)

Non è forse esagerato dire che ci sono tanti “anarchismi” quanti anarchici: perché in fondo l’anarchia è il rifiuto di qualsiasi “etichetta” che venga impressa dal di fuori dunque dal di sopra, è il rifiuto dell’idea per cui sia possibile fare di tutta l’erba un fascio, di tante singolarità un qualche “-ismo”. Certo, è per esempio possibile parlare di un anarchismo a sfondo maggiormente “sociale”, particolarmente vivo in Italia, in cui la solidarietà e la condivisione sono valori altrettanto profondi della libertà, o di un anarchismo dal taglio più spiccatamente “individualista” e in senso “economico”, particolarmente accentuato negli Stati Uniti d’America, in cui il rifiuto dell’invadenza del potere politico fa tutt’uno con l’affermazione della libertà di iniziativa imprenditoriale. Simili esempi potrebbero facilmente essere moltiplicati, ma segnalano a loro volta la difficoltà – se non l’impossibilità – di incasellare l’anarchismo in una categoria univoca, sia rispetto agli individui anarchici che ai tipi di anarchia. Per questo gli anarchici – in tutte le loro forme – sono stati, sono e saranno i più invisi al potere – in tutte le sue forme.
Insomma, il centro propulsore dell’anarchia sta forse proprio nel rifiuto di qualsiasi “in nome di” superiore e predeterminato, come Stirner ha affermato con tanta forza e radicalità. Anzi, come ha vissuto con forza e radicalità.
Qui sta il grandissimo pregio delle pagine incalzanti e vigorose di Mackay e con ciò il merito della traduttrice e dell’editore italiani: mostrare che L’unico di Stirner non è soltanto un libro unico, in fondo anche perché l’unico libro davvero scritto da Stirner, ma la testimonianza di una vita. Di una vita unica, verrebbe da dire. L’unico è quasi una biografia, profetica nella misura in cui mette al centro quel nulla su cui Stirner fonda la propria causa e al quale resta così sempre esposto, sino al rischio di precipitarvi, come in effetti accadrà e come Mackay ricostruisce nel proprio testo, figlio di appassionate e costanti ricerche, che conservano ancora oggi intatta la loro importanza. La loro unicità.
Ho visto persone a cui L’unico ha sconvolto la vita, la cui esistenza è stata davvero trasformata, persino in modo “sproporzionato”: persone che sono arrivate a fare di un libro unico addirittura l’unico libro mai davvero letto, rendendolo così Libro Unico. Come, d’altro canto, Machay aveva persino vaticinato:

il libro immortale di Stirner eguaglierà soltanto quello della Bibbia in quanto a importanza. Così come questo libro “sacro” sta all’inizio del calendario cristiano e avrà i suoi effetti devastanti per due millenni quasi fino all’ultimo angolo della Terra abitata dagli uomini, questo egoista cosciente di sé e non sacro, sta all’ingresso della nuova era, all’insegna della quale viviamo, per esercitare un’influenza, altrettanto benefica, quanto è stata deleteria quella del “libro dei libri”.