martedì 29 maggio 2012

Note sulla Modernità

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

(Si pubblica di seguito il testo della lettera inviata alla Associazione Nazionale Pratiche Filosofiche di Certaldo in occasione del conferimento, in data 20/05/2012, del Premio Speciale per la sezione Saggio Filosofico al Premio Nazionale di Filosofia 2012, al volume: Federico Sollazzo, Totalitarismo, democrazia, etica pubblica. Scritti di Filosofia morale, Filosofia politica, Etica, Presentazione di M. T. Pansera, Aracne, Roma 2011)

Trovandomi all’estero, come il Presidente dell’ “Associazione Nazionale Pratiche Filosofiche” dott. Mario Guarna sa, non mi è possibile partecipare alla cerimonia di premiazione di oggi, del Premio Nazionale di Filosofia. Mi trovo infatti al momento presso l’Università di Szeged (Ungheria) dove lavoro dal 2010. Il fatto che io lavori all’estero non per libera scelta, pur trovandomi bene, ma a seguito della scelta forzata derivante dal non aver potuto accedere ad analoga posizione in Italia, ed il fatto che simili condizioni siano condivise da non pochi miei più o meno giovani colleghi in pressoché tutti i campi scientifici, forse meriterebbe già di per sé una riflessione. In questa festosa circostanza però, mi limito ad inviare questa breve comunicazione, letta dal dott. Matteo Sollazzo, mio fratello e per l’occasione mio delegato, per partecipare, sia pure indirettamente, alla consegna del Premio Speciale per la sezione Saggio Filosofico all’edizione 2012 del Premio Nazionale di Filosofia, al mio volume Totalitarismo, democrazia, etica pubblica, confidando che in futuro vi possa essere occasione per una diretta e personale collaborazione con la ANPF.
Il mio ringraziamento per il riconoscimento che mi è stato voluto dare nasce non solo dal premio in sé, ma anche dal fatto che tale riconoscimento contribuisce a dare maggiore eco a quello che è il proposito di fondo del volume stesso.
In epoca moderna assistiamo infatti all’intensificarsi del processo, in atto già da prima, di restringimento del significato delle parole, che diventano così didascalie. Le parole perdono sia la possibilità di contenere una pluralità di significati sia quella di essere metafore che altri possibili ne dischiudono, e vengono ridotte a definizioni il cui significato è uno e uno soltanto, univoco e seccamente immediato, così da favorirne l’operatività funzionale a chi propone/impone quella definizione. Se il senso della filosofia è quello di problematizzare ciò che appare come ovvio, allora sono oggi da porre sotto l’occhio della filosofia termini quali totalitarismo, democrazia, etica e pubblico, termini attorno ai quali, più di altri, ruota la costruzione della società e che pertanto sono terra di conquista, di colonizzazione e monopolizzazione da parte di interessi e poteri specifici; il fatto che possa sembrare superfluo e inutile problematizzare termini sul cui significato (didascalico e univoco) siamo ormai tutti d’accordo (più per assuefazione che per scelta consapevole), conferma invece quanto sia necessario portare avanti questa problematizzazione di termini (apparentemente) ovvi. Operazione che nel volume ho cercato di fare attraverso tre grandi ambiti argomentativi quali la Filosofia Morale, problematizzazione del comportamento, la Filosofia Politica, problematizzazione delle norme, e l’Etica, problematizzazione dei valori.
Per quanto la dimensione storica sia sempre importante, la prospettiva in cui mi muovo nel volume è fondamentalmente filosofica, ovvero, finalizzata ad analizzare quale uso è stato fatto di questi termini nella modernità (a larghe righe, dall’Illuminismo ad oggi), perché ne è stato fatto un certo uso, quali conseguenze esso ha determinato e, prevedibilmente, porterà.
Una delle osservazioni più rilevanti a cui si può arrivare tramite questo approccio, è quella di riscontrare come oggi si viva all’interno di un complesso e articolato sistema di controllo supportato da una molteplicità di vettori – il più significativo dei quali è colui stesso che ne è vittima –, che si vanta di un pluralismo che è però mera maschera della sua unidimensionalità. In altre parole, benché le grandi ideologie politiche del Novecento siano crollate, questo non significa che l’ideologia in quanto tale sia venuta meno, al contrario, essa si è aggiornata e quindi rafforzata, scartando (nella forma dell’assorbimento) le sue versioni obsolete ed adeguandosi allo scenario contemporaneo (che essa stessa disegna). Siamo così passati dall’ideologia politica, all’ideologia economica e, oggi, all’ideologia tecnologica, che a ben vedere è presente in nuce in tutte le precedenti. Ciò che rende possibile un sistema ideologico è la presenza di un mito, perché laddove c’è un mito, un telos, c’è uno scopo superiore, e laddove c’è uno scopo superiore, che orienta e dispone la vita, non ci sono persone (uniche e irripetibili) ma esecutori, funzionari (seriali e sostituibili). Come ho cercato di argomentare nel volume, ci troviamo oggi in un’epoca di transizione che, a differenza delle precedenti, non segna un semplice passaggio storico ma una svolta epocale, poiché l’ideologia contemporanea, e mi riferisco qui alla razionalità tecnologica, determina per la prima volta un cambiamento radicale nella struttura biologica ed emozionale dell’uomo, portando così a compimento quella mutazione antropologica avviata nel secolo scorso. L’uomo quindi, ammesso che lo si possa ancora definire tale essendo al tempo stesso un post- e un non-uomo rispetto al precedente, per la prima volta non è più il soggetto della storia ma un semplice accessorio, in qualità di funzionario, del nuovo protagonista della storia: la tecnologia (la cui elasticità le permette di continuare ad avanzare insinuandosi in ogni spazio, fisico ed esistenziale).
Qualsiasi sarà la risposta che daremo a questo scenario, essa dipenderà dalla nostra comprensione dello scenario stesso. In accordo con la tesi arendtiana sulla banalità del male, il peggior criminale è colui che accetta ciò che viene considerato ovvio senza porsi domande al riguardo. Una conclusione sulla quale meditare, per non ridurre le idee a didascalie e non ritenere la problematizzazione dell’ovvio come un divertissement o un gioco accademico ma una necessità e una responsabilità che riguarda tutti e ciascuno. E si potrebbe cominciare, magari, dalle parole totalitarismo, democrazia, etica.

Dott. Federico Sollazzo

(«Associazione Nazionale Pratiche Filosofiche», 12/05/2014)

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