giovedì 29 marzo 2012

Byron, "I watched thee"

di Francesco Barresi (ruutura@hotmail.it)

Tradurre poesia in lingua è un compito per grammatici ma tradurre poesia in poesia è di gran lunga più nobile e difficile. Occorre la padronanza d’ambedue le lingue, il rispetto della filologia, mantenere alta l’eleganza stilistica senza creare belle infedeli. Inoltre occorre considerare un altro elemento: il lettore. Consegnargli il significato di un brano poetico significa schiudere alla sua sensibilità in maniera efficace l’anima di un Poeta, e solo quando il lettore avrà conquistato il senso ultimo il compito del traduttore si concluderà nelle sue delicate mansioni: rendere giustizia alla Poesia come veicolo di ricchezza umana da trasmettere in conoscenza e, sperabilmente, in cultura per le generazioni future.
Traducendo questa poesia ho cercato di sdebitarmi in solido con il lettore piuttosto che ripagarlo soldo per soldo, parola dopo parola. Ho tradotto Byron perché questo testo rappresenta un esempio di quella “sottocultura” come la poesia omoerotica tanto discriminata dalle politiche di gender, dalle istanze dei canoni ufficiali, dalle restrizioni d’una società ancora incapace d’accettare l’universalità dell’amore a prescindere dal sesso. 

domenica 18 marzo 2012

Giustizia e diritti umani

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

La giustizia (da intendersi come il tentativo, mai definitivo, di materializzazione della giustezza) è sicuramente la tematica centrale intorno alla quale si impernia l’etica, si potrebbe anzi dire che la giustizia rappresenti il “motore” dell’etica, la questione per rispondere alla quale nascono le etiche, intendibili, quindi, come soluzioni diverse ad una medesima domanda.
Per riuscire a mettere in pratica la giustizia, si è dato luogo ad una sua istituzionalizzazione: il diritto, all’interno del quale si pongono i diritti umani che, pertanto, sebbene si manifestino sotto forme istituzionalizzate, originano anch’essi (come lo stesso diritto e la stessa giustizia) da una interrogazione etica. In questo scenario, la politica si pone come il “filtro” tramite il quale avviene il passaggio dal piano etico-valoriale a quello pratico-istituzionale, ovvero, come un’infrastruttura necessaria per conquistare e mantenere il potere che, a sua volta, rappresenta il primario mezzo per la concretizzazione/istituzionalizzazione dei valori. Pertanto, la definizione dello status concettuale e pratico della giustizia, del diritto e dei diritti umani, si pone come uno dei primi e imprescindibili compiti che ogni associazione umana deve soddisfare, senza però avere mai la pretesa di esaurire poiché, sebbene la chiarificazione di dette questioni sia indispensabile perché si dia una pacifica convivenza umana (dal momento che quei concetti sono depositari di universali e legittime esigenze umane derivanti dalla basilare costituzione antropologica), non va però dimenticato come ogni loro specifica definizione sia costantemente “precaria” (in quanto storicamente determinata).

mercoledì 7 marzo 2012

Antropologia della creatività: tra genericità e modalità

di Giacomo Pezzano (giacomo.pezzano@binario5.com; III di 3)

3. Im-piegare una regola per piegare la realtà ai propri scopi

Per Aristotele, è noto, la phronesis è decisiva nei casi «intorno ai quali è impossibile che una legge [nomos] sia posta, cosicché c’è bisogno di un decreto [psephisma]» (Aristotele, Etica Nicomachea, V, 10, 1137b 27-29), situazioni nelle quali l’ap-plicazione di una regola è un im-piego che piega la norma aprendola a nuovi usi, secondo il modello del regolo di piombo di Lesbo, che «si adatta alla forma della pietra, non sta rigido» (ivi, 1137b 30-32) ma si flette e si piega per meglio corrispondere all’imperfezione della contingenza, e questo perché «di ciò che è indeterminato [aoristou], è indeterminata [aoristos] anche la regola [kanon]» (ivi, 1137b 29) – per corrispondere a essa però sempre e comunque in maniera ortogonale, essendo la phronesis «disposizione pratica accompagnata da discorso corretto [orthos logos]» (ivi, VI, 5, 1140b 20). La regola dell’azione umana è proprio questa piegatura della regola attraverso l’im-piego, perché non c’è regola in grado di fornire allo stesso tempo tutte le condizioni necessarie e sufficienti per la sussunzione del caso particolare al di sotto di sé (cfr. Kant 1997: 3-67), «noi impariamo a conoscere le nostre forze soltanto col saggiarle [versuchen]» (ivi: 25) e la prassi umana avviene nel dominio di «ciò che può essere diverso da come è [to endechomenon allos echein]» (Aristotele, Etica Nicomachea, VI, 5, 1140b 27) – è anzi l’apertura di un tale spazio di potenzialità.