martedì 10 agosto 2010

Lyotard e la condizione postmoderna

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Si riporta, di seguito, un estratto dell'intervista, Il postmoderno e la nozione di "resistenza", che Jean-François Lyotard rilasciò nel 1994 presso l'Istituto Italiano di Cultura di Parigi.

Il termine "postmoderno" designa uno sviluppo tecnologico e scientifico che ha delle ricadute immediate sulla vita quotidiana e sulla politica. La questione decisiva, per me, é questa: per quanto riguarda la scrittura, la pittura, il buon cinema - insomma gli oggetti della nostra creatività -, si può dire che è il sistema che li produce? Le automobili si vede bene che le produce il "sistema", che ci sono uomini che si mettono al servizio della produttività, in modo da conseguire una perfezione sempre maggiore. La stessa cosa si può dire per i missili interstellari o per gli aereoplani. Ma quando si scrive, quando si dipinge, quando si fa musica: si può dire che è il sistema a produrre tutto ciò? C'è una azione del sistema, sia pure inconsapevole e invisibile?
Di fatto il carattere invasivo dello sviluppo e della logica della produzione penetra addirittura nei laboratori, nelle redazioni, persino nella camera dove lo scrittore lavora per ottenere, alla fine, il prodotto che il sistema saprà smerciare e far circolare.
Credo che la crisi delle cosiddette "avanguardie" derivi dal fatto che il sistema impone questo ordine: "ne abbiamo abbastanza di pittori inguardabili, di scrittori illeggibili, e così via. Dateci dei prodotti decifrabili e spendibili!". Non dimenticherò mai un editore che un giorno mi disse: "senta, noi la pubblichiamo, però ci dia qualcosa di leggibile!". Che cosa voleva dire? Esigeva una merce che potesse essere messa in circolazione sul mercato culturale. Qui subentra la nozione di "industria culturale": il sistema penetra fin nella testa del pittore, del cineasta o dello scrittore per fargli fare ciò di cui il sistema ha bisogno, perché la cultura continui a circolare.
Immaginate Van Gogh davanti alla scelta del giallo o del rosso. Si vede bene che qui c'è un lavoro sul colore, che non è richiesto da nessuno se non dallo stesso Vincent. Ma da dove sorge l'esigenza che ci fa perseverare nello sforzo di pensare, di scrivere o di fare della musica o della pittura o di produrre immagini?
Secondo me noi siamo abitati, senza saperlo, da quella che Lacan chiamava la "cosa", che non è mai soddisfatta. Siamo abitati, nelle produzioni simboliche, dal mercato culturale, dal sistema, da ciò che esige comunicazione e circolazione. Il sistema non è mai soddisfatto dei nostri scambi comunicativi con gli altri: probabilmente non ci domanda niente, ma verso di esso ci sentiamo in debito.
In realtà dovremmo tentare, non direi di esprimere, ma almeno di dare forma a ciò che esso rifiuta. E' un atto di resistenza, e solo questo atto può essere all'origine delle opere culturali, comprese le opere inutili.

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