venerdì 21 maggio 2010

Dalla morale universale alle etiche applicate

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

(a cura di) L. Casini – M. T. Pansera, Istituzioni di Filosofia morale. Dalla morale universale alle etiche applicate, Meltemi, Roma 2003

La realizzazione del volume Istituzioni di Filosofia morale è stata curata da Leonardo Casini e Maria Teresa Pansera ed in esso sono presenti i contributi di Patrizia Cipoletta, Chiara Di Marco, Claudia Dovolich, Elio Limentani, Elio Matassi, Paolo Nepi e Maurizio Soldini. Nonostante lo scopo dell’opera, nella quale si alternano parti antologiche a parti espositive oscillando così fra un’antologia e una storia della morale filosofica, sia quello di offrire un primo contatto con le problematiche morali ed etiche agli studenti dei corsi di laurea triennale in filosofia, essa assolve anche un’altra, e più estesa, funzione, quella cioè di introdurre all’analisi filosofica del comportamento umano in un momento in cui la riformulazione di tale questione sembra indispensabile a causa della perdita di punti di vista, di prospettive, di punti di riferimento grazie ai quali poter agire. Si deve, inoltre, tenere presente che lo studio delle concezioni etico-morali dei pensatori, non è altro che una interpretazione delle stesse, condotta tenendo sempre presente il sistema filosofico generale dell’autore in questione.
La prima delle cinque sezioni in cui è articolato il testo, Virtù e felicità, si sofferma sui fondamenti del pensiero morale, presenti nell’antica Grecia in Socrate, Platone, Aristotele e gli stoici. Nella morale socratica il bene, il buono, il giusto, sono delle virtù che, pur manifestandosi nelle interazioni materiali fra gli uomini, hanno il loro fondamento non nell’azione bensì all’interno di ciascun uomo. Da qui l’importanza del “conosci te stesso”, cioè le virtù che risiedono in ogni uomo, per poterle poi applicare concretamente. Nonostante la convinzione che le virtù siano proprie di tutti gli uomini, costituendo, quindi, una comune base ontologica, Socrate non esemplifica mai tale ragionamento; al contrario Platone esemplifica tutto ciò nella concezione mitica dell’Iperuranio, dimensione “altra” nella quale risiedono le idee e le anime (quando non sono incarnate in un corpo) a stretto contatto fra loro, ed ecco spiegato perché nell’anima di ogni uomo sono presenti le stesse idee. Con questo ragionamento Platone ancora la conoscibilità delle idee e dei comportamenti da esse derivanti, ad una reminiscenza trascendentale fortemente criticata da Aristotele principalmente per due motivazioni; in primo luogo, perché per Aristotele è vero solo ciò che è reale; in secondo luogo, perché Aristotele sgancia e autonomizza l’etica rispetto alle altre scienze, distinguendo il sapere morale (phrònesis) dal sapere scientifico (epistème) ed essendo il primo relativo alla prassi non può essere indagato teoreticamente, bensì tramite un’indagine che tenga conto delle circostanze particolari, quotidiane, nelle quali si svolgono le azioni. Tale concezione opera una netta distinzione, non presente in Platone, tra la figura del saggio (colui che vive secondo ragione) e quella del sapiente (colui che studia, indaga, conosce), determinando la separazione tra la politica e il filosofo, dedito unicamente ai suoi studi indipendentemente dalle circostanze sociali nelle quali è immerso (in assoluto contrasto con la concezione platonica del filosofo-re). Ma nello stoicismo riemerge l’ideale di un uomo che possiede sia conoscenza che esperienza, utilizzate in una prassi etico-politica finalizzata all’edificazione di una universale comunità felice, superando quindi la concezione platonica dello Stato ideale, relativa alla realizzazione di singole pòleis.
Bene e male è il titolo della seconda parte del volume che affronta il rapporto tra filosofia e religione dal III al V secolo. L’assorbimento del pensiero antico in quello cristiano, con relativa reinterpretazione del primo, la Patristica e la Scolastica sono i temi trattati attraverso due alti rappresentanti della cultura medievale: Agostino e Tommaso d’Aquino.
La terza, Libertà e responsabilità, esamina la radicale svolta etica avvenuta in età moderna, tramite Cartesio, Kant ed Hegel. La non subordinazione della filosofia alla teologia fa sì che la vita dell’uomo non sia più considerata come un mero periodo di transizione verso l’eternità bensì come uno spazio nel quale realizzare appieno le potenzialità umane in campo politico, economico, sociale e scientifico. E’ quindi indispensabile ridefinire i risultati raggiunti e gli schemi tradizionali del pensiero e in attesa di nuove certezze, per far fronte alla quotidianità, non si può fare altro che seguire le massime di una morale provvisoria, che sembra possa diventare definitiva nel formalismo kantiano. Per Kant, il compito della filosofia non è quello di arguire le leggi morali ma di mostrarle, affrancandole da ogni contaminazione empirica. Avviene così la ricerca del puro principio a priori della moralità che, derivando dalla ragione, non risente delle diversità tra gli individui costituendo, anzi, un potenziale collante. Per individuare un senso razionale nel divenire storico, il filosofo idealista Hegel, differenzia la sfera della moralità (intesa come volontà soggettiva) da quella dell’eticità (intesa come il bene che si istituzionalizza nelle forme della famiglia, della società e dello Stato), attribuendo maggiore rilevanza a quest’ultima poiché è in essa che la libera volontà (autocoscienza) si materializza nel mondo.
Gli elevati e apparentemente incontestabili risultati raggiunti in campo etico con l’idealismo, vengono messi in crisi da coloro che Ricoeur ha definito i “maestri del sospetto”: Nietzsche, Freud e Marx. Non a caso la quarta parte del volume è intitolata Crisi della razionalità, crisi dovuta sostanzialmente alla interpretazione delle verità morali come “maschere” della volontà di potenza (Nietzsche), alla scoperta dell’inconscio (Freud) e allo smascheramento di quelle “sovrastrutture” istituzionali che regolano le condizioni materiali di vita (Marx). Da questi presupposti nasce la crisi della ragione tecnica analizzata, da prospettive diverse, sia da Heidegger che dalla Scuola di Francoforte. Per Heidegger l’ontologia classica (da Platone e Aristotele ad Hegel) ha oggettivizzato e relativizzato l’essere; la metafisica si è ridotta in fisica, dimenticando l’essere a favore dell’ente. Per ovviare a questa impasse è necessario, per Heidegger, rovesciare l’impostazione della razionalità tecnologica finalizzata al dominio ed allo sfruttamento dell’ente, per aprirsi, per abbandonarsi all’essere così da riscoprirne il senso. Ma la critica della società industriale avanzata raggiunge l’apice con la Scuola di Francoforte, la quale sviluppa, grazie ai suoi più autorevoli rappresentanti filosofici, Adorno, Horkheimer e Marcuse, quella “teoria critica della società” consistente nella descrizione e spiegazione dei paradossi e dei disagi che caratterizzano il mondo occidentale, la civiltà consumistica. Per i francofortesi il trionfo della scienza e della tecnica deriva dal concetto illuministico di ragione, che segna una dialettica auto-distruttiva: la volontà dell’uomo di controllare la natura si è progressivamente trasformata in dominio dell’uomo sull’uomo. Nonostante la costante ricerca di una terapia filosofico-politica in grado di innescare un mutamento sociale di ampia portata, determinato da una preliminare rivoluzione culturale, i francofortesi rimangono fondamentalmente pessimisti circa le possibilità di futuri miglioramenti sociali.
Proprio nell’ambito di una ricerca di tali soluzioni si colloca la filosofia pratica, cioè un tipo di sapere che và oltre la semplice conoscenza dei fatti, proponendo anche valori, norme e giudizi totalmente alternativi al paradigma tecnico-scientifico. L’idea di fondo è che il nuovo modello di razionalità non debba essere costruito su principi a priori, ma debba edificarsi in base alle circostanze effettive, concrete, della nostra vita. Per questo la quinta e ultima parte dell’opera è intitolata Quali regole per l’agire?, spaziando dalla riabilitazione della filosofia pratica, alle nuove etiche applicate, sino alla Torah e al Corano. La fiducia in questo nuovo orizzonte di ricerca è dettata dall’idea che il senso di un’etica filosofica risieda nella sua capacità di risoluzione dei problemi pratici, nel suo uso pratico. Le direzioni più interessanti in cui attualmente si muove tale ricerca sono il neoaristotelismo (Gadamer), il neokantismo (Apel e Habermas), il neocontrattualismo (Rawls), il liberalismo (Hayek e Nozick), il comunitarismo (McIntyre e Taylor) e l’etica della responsabilità (Jonas). Infine, è attualmente pressante l’esigenza di trovare delle frontiere morali alle nuove potenzialità scientifiche (soprattutto in campo medico). Da qui nasce la bioetica intesa sostanzialmente come una forma di responsabilità e rispetto verso gli individui esistenti e le generazioni future.
La riflessione sulle problematiche etico-morali-politiche appare come uno dei compiti più urgenti della filosofia, in una società smarrita e disorientata. E’ necessario, da un lato, evitare che l’attuale bisogno di etica degradi in cattive forme di moralizzazione legate alla rigida osservanza di regole stringenti, di dogmi, di fondamentalismi religiosi e/o politici, e dall’altro, progettare forme non dannose bensì pacifiche e pacificate di convivenza.

(«B@belonline.net», n. 5, 2004)

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