venerdì 19 marzo 2010

Tahar Ben Jelloun, "Partire"

di Francesco Barresi (ruutura@hotmail.it)

E' lo scrittore maghrebino Tahar Ben Jelloun, con il libro Partire, il vincitore della I edizione del Premio internazionale ''Giovanni Verga'', promosso dalla Provincia di Catania. E' questo il verdetto della giuria presieduta da Giuseppe Castiglione e composta da Vicente Gonzalez Martin, Pasquale Guaragnella, Enrico Iachello, Enzo Zappulla e Sarah Zappulla Muscara'. Come riporta la motivazione del premio, questo è un romanzo «dal forte impegno civile, (infatti) l'immigrazione clandestina, l'integrazione, l'umana condizione di miseria, l'anelito al riscatto sociale, (sono) temi che inscrivono l'opera nel solco della lezione etica del grande scrittore siciliano cui e' intestato il riconoscimento».
Tahar Ben Jelloun nasce a Fes nel Dicembre del 1944. Poeta, romanziere, giornalista, scrittore, saggista, opinionista politico, ha studiato filosofia a Rabat dove ha scritto in francese le sue prime poesie raccolte in
Hommes sous linceul de silence (1971). In Marocco ha insegnato filosofia e nel 1971 si è trasferito a Parigi dove tre anni dopo ha ottenuto un dottorato in psichiatria sociale sulla confusione mentale degli immigrati ospedalizzati, pubblicato col titolo L'estrema solitudine. La sua esperienza di psicoterapeuta sarà anche riversata nel romanzo La Réclusion solitaire (1976). Nel frattempo ha continuato a scrivere, sempre esclusivamente in lingua francese, collaborando regolarmente col quotidiano "Le Monde". Il suo primo romanzo, Harrouda, è del 1973. Con il Premio “Goncourt” assegnatogli per La Nuit sacrée nel 1987 è divenuto lo scrittore straniero francofono più conosciuto in Francia. Partecipa al dibattito sui problemi della società francese, soprattutto sulle tematiche della periferia urbana e del razzismo. Il libro Il razzismo spiegato a mia figlia gli è valso il premio “Global Tolerance Award” conferitogli dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan.

Il libro ha una bella copertina, un’immagine struggente: un battello (una carretta del mare) a metà tra la costa di Tangeri, avvolta dalla nebbia, e quella spagnola imminente. Il tutto avvolto in colori sfumati, in un azzurrino plumbeo e lontano. Una copertina che già da sola annuncia ed evoca il titolo, Partire; un romanzo sull’immigrazione e la clandestinità che ha come protagonista un giovane, Azel, poco più di vent’anni e una laurea, che per inseguire il sogno di una vita migliore coltiva il desiderio di fuggire da Tangeri, dalla sua vita notturna sospesa tra atmosfere da Le mille e una notte (dice un personaggio, a proposito delle ragazze marocchine: «[...] la loro pelle è la più dolce, la più voluttuosa che io conosca, credimi, una pelle che sa di cannella, di ambra e di muschio»), e dalla corruzione morale e politica imperante. La fuga, però, comporta dei rischi: la morte per annegamento, la cattura da parte della polizia, il dubbio che la vita al di là del mare non sia come la si sogna, ma il giovane Azel è disposto a correre tutti i rischi del caso, tanto grande è la sua voglia di andarsene. («Ho ventiquattro anni, sono laureato, non ho un lavoro, non ho soldi, non ho una macchina, sono un caso umano, sì, sono anch'io alla deriva, pronto a tutto pur di andarmene, pur di vedere questo Paese solo in cartolina»).
La vicenda descrive un extracomunitario, uno dei tanti che incrociamo per le nostre strade e guardiamo con diffidenza. Un uomo su una sponda che ne guarda un'altra: la nostra. Il suo desiderio di libertà, più grande e profondo del mare, lo costringe non solo a tradire la propria famiglia, abbandonare la sua città, il suo Paese, lasciarsi alle spalle attese e sentimenti, ma anche a vendere il proprio corpo e la sua virilità, accettando il ricatto sessuale del suo protettore spagnolo, Miguel, mercante omosessuale, che gli promette lavoro e fortuna in cambio di una relazione, a tratti perversa e convulsa, indubbiamente unilaterale. Un prezzo particolare, speciale, ma comunque un prezzo come un altro che l’immigrato, il clandestino, è costretto a pagare alla ricerca di una felicità che quasi sempre non arriva, infrangendosi contro con la selettività dell’Europa ricca, con la violenza degli uomini, la discriminazione, la “reclusione” nei quartieri ghetto delle metropoli. Per Azel partire ha il prezzo del tradimento, degli altri e di sé stesso. Ha il costo di un amore in cui non crede, di una relazione (omosessuale) cui cede per necessità.

Il romanzo affronta il desiderio di partenza di coloro che lasciano l’Africa per l’Europa e che hanno una loro personalissima e mitizzata immagine di quest'ultimo continente, tanto da elevarlo a loro meta di salvezza. Ma partire non è la soluzione se si connota come una fuga: il problema delle condizioni sociali di chi rischia la vita pur di raggiungere l’Europa, dovrebbe essere affrontato tramite la cooperazione dell’Europa con i Paesi del cosiddetto Terzo Mondo; sviluppare le economie nella libertà e non costringerle al bisogno, affinché siano create in patria le condizioni per il lavoro. Tutto ciò deve essere negoziato nel rispetto della dignità della persona e non umiliandola. Partendo da una politica siffatta si può combattere la migrazione forzata (compresa quella di chi si riversa nella mitizzata Europa) che, fra i vari disagi che produce, pone tali migranti in una condizione in cui, “lavorare” per la criminalità organizzata, diviene l’unica possibile fonte di sostentamento.

Lo scrittore è un abile esploratore delle coscienze dei suoi personaggi. Ognuno ha una disgrazia da portare, da comunicare, un’ombra irreversibile che trova la sua distensione nel territorio infelice del Marocco. Non ci sono né vincitori né vinti nel romanzo di Ben Jeollun: tutti hanno una radice comune, il Marocco, terra di disgrazie e di sfortuna, dove la corruzione crea una rete di connivenza tra le forze di polizia e la delinquenza locale. Il Marocco è anche una terra di radici culturali forti, di sentimenti di rivalsa nei confronti dei passati colonizzatori, di tradizioni, che non esita a esibire la sua esuberante sessualità come ricchezza, dannazione e sfogo del proprio popolo che non ha felici prospettive di vita. La tematica sessuale, trattata nei suddetti termini, impregna infatti le pagine di questo libro, tuttavia essa è solo la cornice di un problema ben più radicato e profondo, ossia quello di una generazione di giovani speranzosi (e magari ben istruiti, come Azel) che non vedono altra prospettiva se non il mare, mostro sacro da superare per raggiungere l’Europa, agognata terra di mitizzati riscatti sociali.
Il protagonista, Azel, è il centro nevralgico del romanzo: su di lui grava la vergogna di aver venduto la propria virilità e la propria dignità, pur di raggiungere il sogno di una vita migliore. Non ci sono personaggi positivi, ma solo antieroi che devono affrontare la cruda realtà della vita con grandi sacrifici, a volte fatali. Ben Jelloun compone un affresco straordinario, di denuncia e poesia: il ritratto di un mondo di immigrazione e clandestinità in cui la felicità sta sempre altrove, in un altrove riscattato magicamente in un finale inaspettato e commovente, nel quale le speranze di tutti i personaggi citati vengono materializzate in una visione magica, in un nuovo viaggio verso una meta illusoria, dove le brutture incontrate nel mondo non potranno mai allungare la mano.

(Tahar Ben Jelloun,
Partire, Bompiani)

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martedì 9 marzo 2010

"Vanitas - Memento mori": placida contemplazione della caducità della condizione umana nella pittura, senza tormento

di Chiara Taormina (chiara.taormina@libero.it)

Peppe Denaro, Vanitas, 2009
(Tecnica mista su medium density, cm 40x50, Palermo, Collezione privata)

Un dipinto rappresenta e descrive la condizione interiore dell’artista che lo ha prodotto, raffigura l’identità, evidenzia la sensibilità, mostra la poetica dell’artefice in relazione alla realtà, nei suoi molteplici aspetti.
Vita e morte si fondono in un unico abbraccio nel dipinto Vanitas di Peppe Denaro, in cui l’immagine si distende in ampie pennellate di colori decisi, come un serena contemplazione dei due opposti dell’esistenza.
Non vi è paura della caducità della condizione dell’uomo, la carne che trapassa non angoscia l’artista che coglie nel monito della morte (memento mori) un invito a riflettere, quasi fosse un inno alla vita, sul binomio indissolubile dell’essere umano: non ci può essere vita senza morte e viceversa.
Il dipinto, di medie dimensioni, affascina per il modo insolito di avvicinare il fruitore alla visione del trapasso, senza fremito o tensione emotiva dilagante, solo un sereno accostamento all’idea di ciò che concluderà il ciclo vitale, in simbiosi col trascorrere della natura che batte il ritmo del tempo che tutto consuma.

Il soggetto della composizione, sembra fluttuare nello sfondo, lasciando l’impressione che la bellezza si trovi in tutto quello che ci circonda: nel tempo che trasfigura la materia e la rende corruttibile. Nel passaggio da uno stato ad un altro, è impresso con forza, simbolicamente, il significato profondo della forma come involucro caduco dell’inalterabile essenza interiore.

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martedì 2 marzo 2010

"Sistema e trasgressione"

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Viviana Meschesi, Sistema e trasgressione. Logica e analogia in F. Rosenzweig, W. Benjamin ed E. Levinas, Mimesis

(Dalla quarta di copertina)

Sistema e trasgressione: queste le parole chiave che l’autrice ha inteso affrontare alla luce di una rilettura del tradizionale rapporto tra logica e analogia.
In questo saggio, infatti, Viviana Meschesi tenta di cogliere una possibile e feconda “correlazione” tra episteme e razionalità analogica, così come è data in una certa lettura della dimensione linguistica, essenzialmente sotto due punti di vista: da una parte, cioè, proponendo una lettura panoramica di queste due dimensioni attraverso un’indagine sui motivi che hanno spinto la tradizione a concepirle esclusivamente nei termini di un aut aut (logos e mythos, sistema e frammento, concetto e metafora); dall’altra, questa correlazione è stata analizzata a partire dal pensiero di tre autori, ebrei, il cui saper “abitare” contemporaneamente due tradizioni ha permesso loro di garantire un imprescindibile contributo a tutto quel dibattito contemporaneo inerente la presunta crisi del logos.

Indice.

Introduzione

I. Logica ed analogia: dicotomia o correlazione?
1. Eπιστήμη

2. Analogia e paradigma indiziario

3. Metafora e concetto

4. Aristotele

5. Crisi

6. Dibattito contemporaneo

7. Rosenzweig e la metafora

8. Benjamin e l’allegoria

9. Levinas e l’intrigo

II. Rosenzweig e la metafora
Introduzione
1. Franz Rosenzweig: un ebreo tedesco
Parte Prima: Logica-Analogia
2. Totalità e trasgressione tanatologica
3. Il metaetico, il metalogico, il metafisico e il nuovo sistema
4. Logica e metafore dell’archetipico: il dio mitico, il cosmo plastico, l’uomo tragico
5. Passaggio
Parte Seconda: Analogia-Logica

6. Creazione, rivelazione, redenzione

7. Creazione e linguaggio della referenza originaria
8. Thanatos, Eros e la “più che metafora”
9. Pensiero, speranza e preghiera
Parte Terza

10. “Dio è la verità”

III. Benjamin e l’allegoria
Introduzione

1. Walter Benjamin: un ebreo out-sider
2. Ursprung e motivi dell’allegoria
3. Gnoseologia e costellazione; il metodo benjaminiano
4. Dramma barocco e decadenza
5. Allegoria barocca, morte, redenzione
6. Le allegorie dell’infanzia: Berliner Kindheit
7. Baudelaire: il poeta allegorico e il Moderno
8. Angelus allegoricus

IV. Levinas e l’intrigo
Introduzione

1. Emmanuel Levinas: un ebreo dell’olocausto
2. Logica: incontro ed evasione
3. Due accessi analogici ad Altri: Femminilità e Paternità
4. Ontologia e trascendenza: il Volto in Totalitè et Infini
5. L’ebreo e il greco: verso l’intrigo
6. Intrigo ed altrimenti
7. Traccia ed Enigma: le vosi dell’Intrigo
8. Altrimenti detto

Bibliografia

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