lunedì 25 aprile 2016

Pratica filosofica: pulizia dell'anima

di Maria Giovanna Farina (mg.farina@libero.it)

Mostrerò l'endosmosi abusiva dell'assertorio nell'apodittico e della memoria nella ragione, sosteneva il filosofo Gaston Bachelard (1884-1962) nel suo libro La formazione dello spirito scientifico. Ci avvertiva che questo suo volume sarebbe stato utile per comprendere e distinguere ciò che è scientifico da ciò che è frutto di credenze. Il problema è l'endosmosi, cioè la confusione nel senso preciso di con-fondere, fondere insieme in modo abusivo, arbitrario, ciò che è scientifico con ciò che è invece solo frutto della opinione comune. Fu Platone ad insegnarci la differenza tra doxa e episteme nel dialogo della Repubblica dove sottolinea la validità dell'episteme, il sapere che si basa su conoscenze incontrovertibili, oggi diremmo scientifiche; altra cosa è la doxa, l'opinione che si basa sull'apparenza in contrasto con l'aletheia, quella verità ri-cercata dal filosofo. La nota metafora della caverna, conosciuta con il nome di mito della caverna, esprime per bocca di Socrate, con chiarezza lapalissiana come gli uomini incatenati e obbligati a vedere le ombre proiettate sul fondo della caverna scambino queste ultime con la realtà, diventando incapaci quindi di riconoscere la differenza tra apparenza e verità dei concetti universali. In parole povere se sono obbligata ad osservare la superficie delle cose, le ombre, come posso osservare il loro contenuto profondo? Se subisco passivamente tutto ciò che mi propinano per buono, se sono incatenata dai pre-giudizi, come posso riconoscere il buono in sé? Cioè il vero buono, quello che mi fa bene, che mi fa essere una persona migliore?
Come posso riconoscere l'endosmosi abusiva se sono cresciuto nella visione dell'apparenza? Difficile percorso di chi vive nell'illusione e non nella realtà. Sappiamo quanto i filosofi abbiano affrontato l'illusorietà della conoscenza sensibile creando a volte un eccessivo discredito nei confronti di tutto ciò che è conoscibile attraverso i sensi. È Cartesio a condurci nel cuore del dubbio metodico con il suo dubitare per raggiungere una qualche certezza lontana dall'ingannevole conoscenza dei sensi. C'è un dubbio epistemologico, vale a dire i sensi non ci mostrano le cose come sono veramente, e un dubbio ontologico, le cose potrebbero non esserci per nulla ma essere frutto di un sogno. I sensi ci ingannano e la conoscenza matematica sarebbe per il filosofo l'unica certezza. L'estrema sfiducia nella conoscenza sensibile è importante per il Nostro e per chi è alla ricerca della verità; è fuori discussione che i sensi ci ingannino basta fare un semplice esempio: se tocchiamo una superficie fredda con le mani calde la avvertiremo maggiormente fredda che non se, al contrario, le nostre mani fossero calde.
Se ci lasciamo ingannare dalla conoscenza sensibile è perché siamo cresciuti nell'endosmosi incapaci di dividere il vero dal falso, lo scientifico dall'emotivo.
Naturalmente vivere è tutt'altra cosa che speculare filosoficamente, ma vivere è anche non lasciarsi trasportare da falsi miti: vivere è farsi delle idee chiare come ci ha insegnato Platone con la sua dottrina delle idee. Nel famoso Iperuranio, secondo il  filosofo, risiedono le idee in sé. Il suo discorso riportato a noi dice che le idee sono nella mente e giustamente fuori nella realtà troviamo solo copie delle stesse, gli oggetti materiali nelle loro diverse esistenze: una è l'idea, tante sono le sue manifestazioni concrete nella realtà; l'idea di tavolo che ho in mente è una, ma fuori ci sono tanti tavoli differenti per materiale, colore, misure... La filosofia nel suo aspetto teorico sa elaborare poi sta a noi applicare i suoi insegnamenti alla vita quotidiana.
Tornando alla frase di partenza di Bachelard, chiediamoci cosa significhi veramente assertorio e apodittico, il primo termine esprime una verità di fatto senza alcuna idea di necessità mentre il secondo indica ciò che non necessita di essere dimostrato; ma l'endosmosi abusiva avviene anche tra memoria e ragione. In questo caso il termine memoria indica ciò che si ricorda del passato, i modi di dire, ciò che ci portiamo dietro dalla nostra esperienza vissuta senza che queste conoscenze siano state sottoposte a verifica o meglio ancora a falsificazione, come direbbe Karl Popper. La memoria anche se è una romantica astrazione del nostro vissuto non può insinuarsi confusivamente nella ragione. La ragione è uno strumento che garantirebbe la verità, il razionalismo moderno nasce con Cartesio e ne costituisce un modello di procedimento. Non possiamo eliminare la memoria dalla nostra vita, ma allo stesso tempo non dobbiamo permettere che essa offuschi la capacità razionale nell'affrontare i problemi dell'esistenza. Viene da chiederci se lasciare che l'endosmosi si attui è un fatto inconscio o se ci sia un interesse nel lasciare campo libero al suo insediarsi. Applicando l'insegnamento di Bachelard al mio quesito possiamo dire che l'inconscio gioca il suo ruolo, il filosofo stesso si cimenta in una psicoanalisi della conoscenza scientifica per portare alla luce le credenze che ostacolano la formazione dello spirito scientifico. Quanto siano valide ancora oggi le sue riflessione credo sia del tutto chiaro: analizzare, scrutare, ricomporre dopo aver fatto pulizia non è ciò che la filosofia ci ha insegnato a partire da Socrate? Pratica filosofica è ripulire la mente dopo aver bene compreso ciò che è utile e ciò che non lo è, e in certi casi dannoso, per la nostra vita individuale e collettiva. Pratica filosofica è far buon uso della filosofia senza lasciarsi indottrinare da nessun pensatore.

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2 commenti:

  1. Come ideatore e curatore di “CriticaMente” ho deciso con piacere di ospitare l’articolo qui sopra, propostomi per la pubblicazione, anche se esso rappresenta un orientamento di pensiero assai distante dal mio, e quindi anche dall’abituale impostazione di “CriticaMente”.
    Mi fa piacere precisare, quindi, quelli che sento come punti di maggiore distanza da quanto espresso nell’articolo, e da una certa lettura comune oggi molto diffusa.

    -) Sulla scorta della lezione heideggeriana, ritengo che a-letheia non debba essere presa presa sic et simpliciter come veritas, ma come dis-velamento. E poiché possono darsi molteplici dis-velamenti, a seconda di come si incontra il mondo, non esiste la verità, ma le verità. La scienza pertanto non è verità in quanto veritas, unica, universale e oggettiva – presunzione che condivide con la religione, essendo quindi le due fatte della stessa sostanza, da cui il loro antagonismo –, bensì in quanto dis-velamento, non il, ma un possibile disvelamento.

    -) Cartesio è completamente all’interno del pensiero scientifico, ne è un’importante tappa. Egli infatti mette in dubbio la realtà empirica tramite il dubbio sulla conoscenza fornita dai sensi, le due cose – realtà empirica e conoscenza sensibile – sono talmente legate da diventare quasi sinonimi. Una volta risolto il dubbio sulla conoscenza sensibile è per lui risolto qualsiasi problema epistemologico, e ne consegue che la realtà empirica è oggettivamente così come i sensi ci dicono. Gran parte del pensiero postcartesiano – fino all’odierno neorealismo – non mette in discussione la sinonimia tra realtà empirica e conoscenza sensibile, sicché una critica alla prima potrebbe avvenire solo contestando i dati della seconda. Personalmente ritengo invece che le due cose debbano essere distinte. Filosoficamente, la questione cruciale non è infatti né contestare la presenza della realtà empirica né i risultati della conoscenza sensibile, ma avvedersi del fatto che l’immagine, e il significato che diamo, alla prima dipende da come percepiamo e interpretiamo la seconda – e, chiaramente, così come interpretiamo la realtà, poi la ri-costruiamo. Dunque, non nel senso che la realtà non esiste o che esiste solo perché la pensiamo – come vorrebbe una vulgata davvero volgare – ma nel senso che la realtà esiste per come la pensiamo, va inteso che “non esistono fatti, solo interpretazioni”.

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  2. -) Popper ho sempre avuto difficoltà a ritenerlo un filosofo – Platone totalitario, tanto per dirne una, è un po’ come dire Platone cristiano o Aristotele antropologo o Diogene sans-papiers, o Cicerone tifoso della Roma, proiettando su un pensatore fenomeni che al suo tempo non esistevano. Anche il concetto di falsificazione è un concetto filosoficamente debole: supporre che il solo modo di proporre alternative sia per falsificazione, significa non essere in grado di distaccarsi dalla forma mentis scientifica. La confutazione, in filosofia, non è il cambiare i risultati di una narrazione – ed anche la scienza è una narrazione – senza questionarne la logica intrinseca, ma passare da una narrazione ad un’altra, muovendosi su più livelli ermeneutici.

    -) "(…) il filosofo stesso si cimenta in una psicoanalisi della conoscenza scientifica per portare alla luce le credenze che ostacolano la formazione dello spirito scientifico". Questa frase, che forse coglie la “missione” del filosofo per Bachelard, è, per tutto quello di cui sopra, in un orizzonte che mi è completamente estraneo. Il filosofo non psicoanalizza lo scienziato – come se l’unica forma accettabile o addirittura possibile di attenzione al pensiero altrui fosse una forma scientifica, rappresentata dalla psicoanalisi o oggi dalla neuro-“qualcosa” –, il filosofo cerca invece di capire l'epistemologia che innerva un pensiero; e non lo fa al fine di favorirlo o ostacolarlo ma per comprenderlo, per criticarlo, nel senso originario di crino: separare, valutare. Insomma, “l’arte per l’arte” ha il suo corrispettivo ne “il pensiero per il pensiero”, un pensiero senza scopo, e in questo già bastante per contestare in toto il mondo in cui viviamo.

    -) Il termine pratica filosofia, e affini, va oggi di moda. A mio parere la filosofia è sempre pratica perché così come si pensa si agisce. La metafisica quindi è la più pratica delle discipline. Sottolineare oggi l'aspetto pratico della filosofia quindi, non dice nulla sulla filosofia in sé, dice invece molto su una società storica che sente il bisogno di sottolineare quell'aspetto. Quando però lo si sottolinea all'eccesso si arriva al limite estremo di far coincidere il pensiero con lo svolgimento di operazioni – quel fenomeno che Marcuse chiamava “pensiero positivo” e “operazionismo” – e così la filosofia diventa ciò che non è: razionalità strumentale, strategia, calcolo.

    Sperando di non aver annoiato i lettori, auguro buon proseguimento di navigazione su “CriticaMente”,
    Federico Sollazzo

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