giovedì 20 giugno 2013

Federico Sollazzo: totalitarismo, democrazia, etica pubblica

di Pietro Piro (sekiso@libero.it)

La società modernizzata fino allo stadio dello spettacolare integrato è contraddistinta dall’effetto combinato di cinque caratteristiche principali che sono: il continuo rinnovamento tecnologico; la fusione economico-statale; il segreto generalizzato; il falso indiscutibile; un eterno presente.
 [G. Debord, Commentari sulla società dello spettacolo]

I.
Il libro di Federico Sollazzo, Totalitarismo, democrazia, etica pubblica [1] oltre ad essere ben argomentato e ben scritto, ha il merito di riportare la nostra attenzione su temi che senza nessun timore possiamo definire essenziali. Il libro si propone di affrontare argomenti complessi e densi dal punto di vista umano ed ermeneutico ed è diviso in tre grandi sezioni: Filosofia Morale, Filosofia Politica ed Etica. Il testo [costruito come un percorso in cui la storicità degli eventi segna il susseguirsi delle argomentazioni] pre-pone il fenomeno del totalitarismo come elemento di partenza e punto d’irradiazione per sviluppare tutte le argomentazioni successive. Riteniamo sia dunque metodologicamente corretto, partire proprio dall’analisi di Sollazzo su quest’argomento per sviluppare poi le nostre argomentazioni critiche. Il libro si apre con quest’affermazione:
«Il crollo dei regimi totalitari non ha certo segnato il superamento della problematica del controllo totale sugli individui, del dominio, ma un mutamento della forma e dei modi di attuazione dello stesso, un suo perfezionamento. Queste dinamiche rendono necessario il ricorso a un nuovo strumentario concettuale, del quale fondamentali riferimenti, fra gli altri, sono i termini “sistema” e “Impero”» [2].
La tesi sostenuta è che tra il vecchio totalitarismo e il nuovo vi sia continuità e che la differenza consista nell’uso di nuove forme di manipolazione linguistico-concettuale, con relativa alterazione della memoria storica tese a realizzare un nuovo modello di controllo sociale che non ha più interesse a realizzare un’adesione fideistica all’ideologia quanto piuttosto:
«All’instaurarsi di un regime di conformismo che risulti, senza spargimenti di sangue, impossibile da rifiutare, criminalizzando coloro che ne tentano il rigetto. Così ogni uomo risulta coinvolto nella struttura di questo nuovo potere “autototalitario”, la cui legittimità dipende, come in un circolo vizioso, dall’adesione ad esso da parte dei cittadini» [3].
L’ipotesi della continuità è supportata dalla presenza nella società contemporanea di fenomeni degenerativi della capacità di pensare autonomamente al di fuori di uno schema ideologico. Appoggiandosi prima al concetto di Marcuse di sistema e poi a quello di Negri-Hardt di Impero (ma analizzando anche Horkheimer, Adorno e Habermas), Sollazzo sottolinea l’elemento di passaggio dall’epoca dei totalitarismi alla nostra:
«Prende corpo così la transizione dalla società della disciplina a quella del controllo (già prefigurata nei lavori foucaltiani sul concetto di biopolitica), il cui scopo rimane quello di dare norme alla vita, prescrivendo i comportamenti normali e normalizzanti e quelli deviati e devianti; tale normalizzazione avviene non tramite l’imposizione delle regole, bensì tramite la loro interiorizzazione, esse vengono infatti veicolate e addirittura legittimate dall’industria della comunicazione e dello spettacolo, generando un complesso dispositivo di immagini e di idee che producono le opinioni e regolano il discorso pubblico (ovviamente tali processi sono supportati da uno sviluppo tecnologico, giunto oggi al livello dell’informatizzazione che, lungi dall’essere un che di neutrale, contribuisce ad una nuova definizione della condizione umana). Quindi il potere assorbe la vita e per mezzo di essa si riproduce. Ed in questa nuova forma di controllo, L’Impero si avvale di un risultato ereditato dagli stati nazionali: la riduzione della moltitudine a totalità ordinata, a popolo» [4].

II.
Il quadro delineato è molto fosco. Il pensiero della persona si dilegua in un’accorta manipolazione finalizzata a una docile e rassegnata accettazione dell’iper-consumismo. Il potenziale emozionale dell’uomo è annichilito, la biopolitica [5] con il suo intento di gestire direttamente i fenomeni della vita permea tutta la modernità e giunge fino a noi con il suo potenziale di controllo e i suoi piani di eugenetica sociale. La libertà della persona è limitata dal contrasto tra “potenze” (l’Autore si appoggia qui sapientemente al lavoro di Bobbio [6]) ideologiche, economiche e politiche. L’orizzonte della tecnologia imposto dagli interessi multinazionali s’impone come elemento di omologazione e di stordimento. La deresponsabilizzazione e l’omologazione del pensiero (sino alla sua scomparsa) configurano il nostro tempo con conseguente e immediata distruzione dello spazio pubblico:
«Insomma che si tratti di forze trascendenti (come la religione) o di forze secolari, immanenti (come la natura, la storia, l’estremizzazione della ratio tecnico-scientifica o, più prosaicamente, l’autorità delle istituzioni, il capitale trasformato in virtù) delegare a esse le decisioni etico-politiche dell’uomo, significa aprire le porte a dinamiche deresponsabilizzanti che determinano la rinuncia alla partecipazione e alla costruzione della società, lasciando tale compito a quei sedicenti poteri superiori. Non a caso Hannah Arendt definisce il totalitarismo come la distruzione dell’idea di spazio pubblico, […] è proprio l’eclissi di questo spazio pubblico che priva gli uomini della possibilità di un confronto dialogico sui principi normativi della vita pubblica» [7].
Di fronte a queste circostanze, Sollazzo rinnova la necessità di porre un limite al Prometeo definitivamente scatenato [8] e questo limite, può nascere solo rimettendo al centro dell’etica l’uomo e il suo carattere unico di persona [9], con i suoi bisogni [10] e le sue necessità materiali e spirituali. Per far questo, sarà necessario riporre la massima attenzione al linguaggio [11] ed alla sua manipolazione, preparando il terreno per un’etica del discorso che per realizzare pienamente il carattere dialogico dell’agire comunicativo sviluppi sempre più diffusamente il pensiero critico [12]. Compito della filosofia – richiamandosi al pensiero di Patočka – sarà allora quello di:
«Opporsi all’”ordine del giorno”, alla supina accettazione dell’esistente, a quelle “contingenze secondarie” (poiché la contingenza primordiale è quella della finitudine umana) che pretendono docilità, obbedienza, subordinazione. La filosofia, insomma deve essere una “filosofia del notturno” che, in quanto tale, si oppone a tutte le potenze affermative e positive che vogliono l’assoggettamento della possibilità alla realtà» [13].
L’Autore compie con il suo libro il tentativo di essere fedele agli ideali di una filosofia che si fa carico di un pensiero critico, autonomo, che permetta di uscire dall’indifferenza nei confronti della propria e dell’altrui esistenza.

III.
In estrema sintesi, a nostro avviso, il limite del libro consiste nel non aver integrato nei ragionamenti sulle origini del totalitarismo e sulla sua attualizzazione alcune riflessioni che riteniamo fondamentali e che abbiamo inserito principalmente nel nostro La peste emozionale [14] e che si sviluppano in forma rizomatica in tutto il nostro lavoro critico [15]. Si tratta di sviluppare anche in chiave contemporanea le intuizioni di S. Freud, W. Reich, E. Fromm, A. Miller, J. Lacan e di tutti quei teorici che hanno messo in evidenza la presenza di una vera e propria pedagogia nera, dalla quale non ci siamo ancora liberati. Tuttavia, per affrontare i temi che condividiamo con l’Autore e per cercare di tracciare delle vie d’uscita, è assolutamente necessario formare delle équipe che riuniscano le competenze e le esperienze più eterogenee e che accolgano tra i loro membri specialisti provenienti da ogni parte del mondo.
Mai come oggi, il potere del singolo è enormemente diminuito e la sua potenzialità e profondità ermeneutica ridotte al minimo. Non sarà possibile andare avanti senza una visione integrata e collegiale, necessariamente multidisciplinare, una visone collettiva, pluralistica. Nell’attesa di questo lavoro epocale, un libro come quello di Sollazzo può aiutarci a chiarificare i ragionamenti sui quali costruire le basi per un avvenire che speriamo duri a lungo.

Termini Imerese, Gennaio 2013

[1] F. Sollazzo, Totalitarismo, democrazia, etica pubblica. Scritti di Filosofia morale, Filosofia Politica, Etica, Aracne, Roma 2011.
[2] Ibidem, p. 17.
[3] Ibidem, p.18.
[4] Ibidem, pp. 31-32.
[5] Ibidem, p. 84.
[6] Ibidem, p. 149.
[7] Ibidem, p. 88.
[8] Ibidem, p. 87.
[9] Ibidem, p. 86.
[10] Ibidem, p. 165.
[11] Ibidem, p. 156. In particolare il punto n. 10 dell’elenco di G. Zagrebelsky citato.
[12] Ibidem, pp. 178-179.
[13] Ibidem, p.19.
[14] Cfr. P. Piro, La peste emozionale, l’uomo-massa e l’orizzonte totalitario della tecnica. Un seminario, alcuni saggi e materiali per uno schizo-umanesimo, Mimesis, Milano 2012.
[15] Si vedano in particolare: P. Piro, Le occasioni dell’uomo ladro. Saggi, polemiche e interventi tra Oriente e Occidente, Mimesis, Milano 2012; Id., Non c’è tempo per l’uomo. Una discesa nel maelström della tecnica, La Zisa, Palermo 2012; Id., Marginalia. Brevi annotazioni di un lettore vivo, Petite Plaisance, Pistoia 2012.

Pietro Piro (Termini Imerese, 1978) è uno studioso attento alle dinamiche di disumanizzazione radicale del nostro tempo. I suoi più recenti lavori sono: Francisco Franco. Fenomenologia di un dittatore (2013); Il dovere di continuare a pensare (2013). Ha tradotto e introdotto J. Ortega y Gasset, Appunti per un commento al Convivio di Platone (2012) e S. Ramón y Cajal, Psicologia del Don Quijote e il Quijotismo (2012) e curato la postfazione a J. Ortega y Gasset, Meditación de la Técnica (2011). Dottorando di Ricerca in “Sistema dei Partiti e Comunicazione Politica” presso l’Università di Enna “Kore” e la UNED di Madrid, svolge attività di ricerca presso il fondo filmico della Filmoteca Española di Madrid.

(«Filosofia e nuovi sentieri», 03/02/2013)

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