mercoledì 22 luglio 2009

Sul significato di "democrazia"

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Nel ricercare il significato concettuale del termine democrazia, è interessante passare attraverso le tematizzazioni di Norberto Bobbio che, come Hannah Arendt, costruisce le proprie argomentazioni a partire dal confronto con la cultura greca antica, citando, a tal fine, la famosa orazione funebre periclea, i cui passi principali sono i seguenti:


Il nostro governo si chiama democrazia in quanto si qualifica non rispetto ai pochi, ma alla maggioranza. Le leggi regolano le controversie private in modo tale che tutti abbiano un trattamento eguale, ma quanto alla reputazione di ognuno, il prestigio […] non lo si raggiunge in base allo stato sociale di origine, ma in virtù non soltanto per quanto attiene i rapporti con la città, ma anche relativamente ai rapporti quotidiani […]: nessuno si scandalizza se un altro si comporta come meglio gli aggrada […] La cura degli interessi privati procede per noi di pari passo con l’attività politica, ed anche se ognuno è preso da occupazioni diverse, riusciamo tuttavia ad avere una buona conoscenza degli affari pubblici. Noi non pensiamo che il dibattito arrechi danno all’azione; il pericolo risiede piuttosto nel non chiarirsi le idee discutendone, prima di affrontare le azioni che si impongono(1)

Interpretando i precedenti passi Bobbio nota come, nel mondo politico antico, in particolare modo in quello pericleo, la condizione preliminare per il funzionamento di un regime democratico consista nell’interesse dei cittadini (non di tutti, ma solo di quella parte che può accedere allo spazio della politica) verso la cosa pubblica e nella buona conoscenza della sua natura. Ora, nonostante le profonde differenze esistenti fra la nostra condizione politica e quella antica, sia a livello teorico che pratico (basti pensare, ad esempio, all’estensione dell’ambito territoriale che ha per effetto il passaggio dalla pratica politica diretta alla politica rappresentativa), per Bobbio la definizione periclea di democrazia continua tuttora ad essere valida: nell’idea di democrazia sono presenti degli immutabili valori ultimi «in base ai quali noi distinguiamo i governi democratici da quelli che non lo sono, (tali valori ultimi) sono la libertà e l’eguaglianza»(2). Ma questi valori ultimi non possono essere perseguiti attraverso delle regole rigorose che, se soddisfatte, ne garantirebbero la realizzazione; ad essi si può solo tendere tramite dei principi generali, degli "universali procedurali" che, di volta in volta, designano la metodologia che viene ritenuta idonea per la realizzazione della democrazia che, in questi termini, si configura allora non come una meta, ma come una via, come un percorso la cui importanza non risiede nel raggiungimento di un obiettivo ultimo, ma nella tensione ad esso. Per questo «La democrazia perfetta non può esistere e di fatto non è mai esistita»(3). Pertanto la stessa "regola di maggioranza", che sembrerebbe essere il cardine di ogni regime democratico, può invece venire critica, evidenziando come essa non sia necessariamente garanzia di libertà ed uguaglianza; infatti, alla considerazione che

Il dominio della maggioranza, caratteristico della democrazia, si distingue da ogni altro tipo di dominio perché, secondo la sua più intima essenza, non soltanto presuppone, per definizione stessa, un’opposizione – la minoranza –, ma anche perché riconosce politicamente tale opposizione e la protegge nei diritti fondamentali e con le libertà fondamentali(4)

Si può controargomentare come

Che una decisione collettiva sia presa a maggioranza […] non prova assolutamente nulla rispetto alla minore o maggiore libertà con cui quella decisione è stata presa. E pertanto attribuire alla regola della maggioranza il potere di massimizzare la libertà o il consenso è attribuirle una virtù che non le appartiene. Spesso, purtroppo, le maggioranze sono formate non dai più liberi ma dai più conformisti. Di regola, anzi, tanto più alte sono le maggioranze, specie quelle che sfiorano l’unanimità, tanto più sorge il sospetto che l’espressione del voto non sia stata libera(5)

Pertanto, se «La regola della maggioranza è un docile strumento […] ritorna il problema ineludibile della contrattazione come mezzo alternativo di decisione collettiva»(6), ritorna dunque quella che la Arendt chiama la condivisione di parole e azioni.
E’ interessante, a tale proposito, notare come anche nella più recente letteratura in tema di democrazia ci si ponga in una simile prospettiva:

Che cos’è esattamente la democrazia? Innanzitutto occorre evitare l’identificazione fra democrazia e governo della maggioranza. La democrazia ha esigenze complesse, fra cui, naturalmente, lo svolgimento di elezioni e l’accettazione del loro risultato, ma richiede inoltre la protezione dei diritti e delle libertà, il rispetto della legalità, nonché la garanzia di libere discussioni e di una circolazione senza censura delle notizie. In realtà, anche le elezioni possono essere del tutto inutili se si svolgono senza avere offerto alle diverse parti un’adeguata possibilità per presentare le loro posizioni, o senza concedere all’elettorato la possibilità di avere accesso alle notizie e valutare le opinioni di tutti i contendenti. La democrazia è un sistema che esige un impegno costante, e non un semplice meccanismo (come il governo della maggioranza), indipendente e isolato da tutto il resto
(7)

Ma, per meglio comprendere in cosa consista la democrazia, Bobbio ne offre una descrizione sia storica che concettuale. Storicamente essa rappresenta il quarto stadio di una sorta di evoluzione dei sistemi politici in cui, al primo livello troviamo lo stato anarchico o di natura (caratterizzato dalla hobbesiana bellum omnium contra omnes), al secondo un sistema di equilibrio fra potenze (descrivibile come un pactum societatis, inteso come un patto di non aggressione con il quale le parti rinunciano all’uso della forza reciproca: ad esempio, la pace intesa come una momentanea tregua fra due guerre), al terzo l’ordine derivante dal predominio di una potenza o di un sistema egemone (in tale stadio la forza di un soggetto o di una comunità di soggetti è utilizzata per impedire l’uso della forza reciproca, cosicché la pace si pone come il risultato di un atto di forza, come nel caso dell’antica pax romana o dell’odierna pax americana; in questo scenario, chi detiene il potere lo detiene contro chi ne è escluso), al quarto l’accettazione consensuale, e pertanto stabile, di un ordine democratico (caratterizzato da un pactum subiectionis che, diversamente dal terzo stadio, è fondato sul consenso e non imposto con la forza, solo così si può giungere a regole collettivamente stabilite e collettivamente vincolanti). Da una prospettiva concettuale, invece, la democrazia è descrivibile come un sistema in perenne trasformazione: ogni popolo ed ogni generazione ha la responsabilità di trovare la propria via alla democrazia, essendo essenzialmente questa, per Bobbio,

un insieme di regole (mai cristallizzate, definitive) di procedura per la formazione di decisioni collettive, in cui è prevista e facilitata la partecipazione più ampia possibile degli interessati […] (ovvero) l’unico modo d’intendersi quando si parla di democrazia, in quanto contrapposta a tutte le forme di governo autocratico, è di considerarla caratterizzata da un insieme di regole – primarie o fondamentali – che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure(8)

Ne deriva che per Bobbio (similmente a Karl Popper) la democrazia non è un qualcosa che nasce spontaneamente, al contrario, essa può sorgere solo laddove gli uomini prendono una decisione in tal senso.

1) Tucidide, La guerra del Peloponneso, II, 37-41, citato in N. Bobbio, Democrazia: le tecniche, in Teoria generale della politica, Einaudi, Torino 1999, p. 370, ristampato in N. Bobbio, Democrazia Totalitarismo Populismo, Nuova Cultura, Roma 2003, pp. 102-103.
2) N. Bobbio, Democrazia Totalitarismo Populismo, cit., pp. 109-110, parentesi mia.
3) Ibidem, p. 109.
4) H. Kelsen, La democrazia, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 141-142.
5) N. Bobbio, Democrazia Totalitarismo Populismo, cit., p. 133; l’argomento per il quale ad un maggiore consenso su/successo di qualcosa, corrisponda una minore qualità di quel qualcosa, è presente già in Platone come irrisione delle opere di Aristofane, tuttavia qui la differenza tra Hans Kelsen e Bobbio sembra risiedere nel fatto che il primo, a differenza del secondo, non considera i fattori di condizionamento psicologico che inibiscono la libertà di pensiero, anche in politica.
6) Ibidem, p. 155, corsivo mio; sulla logica dei meccanismi istituzionali di regolamentazione della convivenza cfr. P. Rossi (cura), Norberto Bobbio tra diritto e politica, Laterza, Roma-Bari 2005.
7) A. Sen, La democrazia degli altri, Mondadori, Milano 2005, pp. 61-62, corsivo mio, ed ancora, è da evitare l’errore di «considerare la democrazia in modo troppo ristretto e limitato – in particolare, soltanto nei termini di votazioni pubbliche – e non nei più ampi termini di ciò che John Rawls definiva «l’esercizio della ragione pubblica» […] Nella più ampia prospettiva della «discussione pubblica» (ossia della partecipazione popolare alla discussione dei problemi di governo), la democrazia deve assegnare un posto di primaria importanza alla garanzia di un dibattito pubblico libero e di interazioni deliberative nel pensiero e nella pratica politica, non semplicemente attraverso e in vista di elezioni», Ibidem, pp. 7-8 e 10; dello stesso autore cfr. The Possibility of Social Choice (Discorso tenuto in occasione del conferimento del premio Nobel per l’Economia nel 1998), in «The American Economic Review», n. 89, 1999.
8) N. Bobbio, Premessa, e Il futuro della democrazia, in Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1995, pp. XXII e 4, parentesi mie.

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